Città crocevia di culture dell’Est e dell’Ovest, nata
nell’impero Urartiano e invasa nei secoli da arabi e russi, Yerevan si presenta
oggi come una città cosmopolita fiera del suo passato e con uno sguardo
proiettato al futuro. Piazza della Repubblica, oltre che essere il fulcro della
vita politica e sociale del paese, con le sue fontane danzanti e i suoi bei
palazzi è forse l’attrazione più bella
della città.
La Cascata, una lunga scalinata che risale il fianco della
collina, ci ricorda invece il suo passato sovietico rimasto solo nell’architettura
squadrata e imponente che doveva dimostrare tutta la grandezza dell’impero.
Come quest’ultimo è però rimasta incompiuta e ad oggi trasformata grazie alla
collocazione di opere d’arte di autori contemporanei e alla creazione al suo
interno di varie gallerie d’arte. Dall’alto della collina lo sguardo di Madre
Armenia è teso a difendersi dall’ultimo invasore: la Turchia.
Poco fuori città sorge invece il museo e il monumento
commemorativo a quello che è stato il primo genocidio del XX secolo. Mentre
camminiamo nei lunghi corridoi che spiegano come il morente impero ottomano
trovò nella ricca cultura degli Armeni il nemico interno all’islamizzazione
della popolazione, pensiamo a quante analogie ci sono tra questa tragedia e la
Shoa. “Chi si ricorda del genocidio degli Armeni?” come disse Hitler nel 1939
per convincere i suoi che il piano di sterminio degli ebrei poteva funzionare;
ed è quello che pensiamo anche noi che solo oggi conosciamo meglio la realtà di
questa storia ignorata e poi dimenticata da un’ Europa che l’ha scoperta e
riconosciuta davvero troppo tardi.
Le cose più belle di Yerevan rimangono però il calore e la
voglia di conoscerci dei suoi abitanti, la cultura popolare che rivive in un
ballo tipico eseguito per strada da due giovani donne e un anziano accompagnate
da tre semplici strumenti e lo stupore negli occhi dei bambini incantati di
fronte allo spettacolo delle fontane danzanti.
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