venerdì 29 luglio 2016

Ani

Torniamo in Turchia dopo settimane di notizie più o meno veritiere riguardo alla situazione politica e sociale del paese. Parenti e amici ci hanno più volte contattato per raccontarci come venivano riportatii fatti e per avere rassicurazioni sulla nostra condizione. Sicuramente il tentato golpe, di cui si può discutere la natura e le reali relazioni causa - effetto, ha fatto pensare anche noi che solo poche settimane prima avevamo attraversato questa sconfinata nazione. Alla frontiera ci accolgono invece con acqua di colonia e un cay bollente ed i soliti sorrisi che ci hanno sempre riservato. A Kars notiamo centinaia di bandiere turche e manifesti, ma una vita che scorre come in tanti altri giorni. Questo non significa che il tentativo di colpo di stato non abbia portato tragiche conseguenze riguarda la condizione di libertà dei cittadini turchi, in particolare delle opposizioni, ma probabilmente l'eco amplificato dei media internaionali non farà del bene a quella fetta di popolazione che sul turismo ci campa. Con il passare dei giorni noteremo infatti una tragica carenza di turisti, anche in siti famosi e ben noti.
Anche per questo Ani risulta praticamente deserta e questo amplifica il senso di maestosa desolazione del ricodo dell'antica capitale dell'impero armeno.
Simbolo di tali sensazioni è la chiesa del Redentore con la sua metà rimasta in piedi che guarda il verde prato in cui una volta sorgeva la città. La chiesa di San Gregorio e i resti del castello ne delimitano gli antichi confini dando ancora l'idea della grandezza di uno dei centri più importanti lungo la Via della Seta, in cui al tempo vivevano centomila persone.










 Il fiume con il suo profondo canyon segna il confine con l'Armenia che ha visto togliersi i territori dell'Anatolia dell'Est in cui sono presenti  i simboli del suo passato come il monte Ararat e Ani stessa.

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